Grandi trapianti cromosomici per grandi difetti genetici

La terapia genica promette di risolvere i difetti del DNA con un rapido “taglia e cuci”. Alcune anomalie del codice genetico, però, sono troppo ingombranti per un semplice lavoro di sartoria molecolare. La soluzione? Sostituire l’intero cromosoma difettoso con uno nuovo.

Quando lo scienziato pazzo He Jiankui ha annunciato al mondo la nascita di Lulu e Nana, le prime bambine nate immuni al virus dell’HIV per merito dell’ingegneria genetica, ha usato una perifrasi interessante: “chirurgia genetica”. Con queste parole aveva l’obiettivo di suggerire la precisione del taglio del bisturi ridimensionata al mondo nanometrico degli acidi nucleici, oggi possibile grazie all’efficienza di strumenti come CRISPR-Cas9. L’accuratezza, però, non aiuta quando i difetti del DNA sono molto ampi, siccome esistono limiti massimi, in termini di lunghezza, nelle sequenze di DNA che possono essere inserite in una cellula, o che possono diventare bersaglio di una modifica.

Nella chirurgia tradizionale, quando un organo è compromesso non è possibile intervenire in maniera minuziosa, ma bisogna prendere e sostituire. È il caso del trapianto, dove ad esempio un rene o un cuore ormai KO viene buttato nell’immondizia e rimpiazzato con quello di un donatore. Da un punto di vista genetico, si può ricorrere ad un simile stratagemma: quando uno dei 46 cromosomi presenti in un nucleo è affetto da un’anomalia genetica importante, viene sostituito con un cromosoma “donatore”.

La ricercatrice Marianna Paulis, assieme ai colleghi dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Humanitas di Milano, ha recentemente pubblicato un lavoro in cui dimostra che questa tecnica è possibile in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) di topo. Lo studio funziona da proof of concept per la metodologia e prende in esame un difetto sul cromosoma X che causa la sindrome di Lesch-Nyhan, caratterizzata da un deficit enzimatico che si manifesta con disturbi neurologici e comportamentali. La tecnica consiste nell’inserimento di un cromosoma sano attraverso microcellule. Se l’inserimento avviene con successo, il cromosoma malato se ne va spontaneamente durante la fase di mitosi per mantenere la diploidia, ovvero la condizione di una cellula di possedere una coppia per ogni cromosoma. Le cellule con il cromosoma “trapiantato” possono essere riconosciute e selezionate con facilità dai ricercatori ed essere usate, eventualmente (il lavoro della dottoressa Paulis si ferma alla ricerca di base), per una terapia cellulare.

L’obiettivo di questo studio è trovare una soluzione per altre malattie cromosomiche, come la sindrome dell’X fragile, in cui un cromosoma X è aberrante, o la sindrome di Turner, dove uno dei due cromosomi X è del tutto assente. Anche le malattie genetiche come la distrofia muscolare di Duchenne, però, rientrano nel mirino di questa metodica, siccome il gene della distrofina è un po’ troppo grande per le convenzionali strategie di ingegneria genetica. In questo caso, dopo aver ottenuto le cellule corrette, è possibile iniettarle nel muscolo per stabilire una riserva di cellule staminali muscolari capaci di differenziare in vivo e produrre la giusta versione della proteina distrofina.

Curiosamente, quando viene “trapiantato” un cromosoma X in cellule maschili, può andarsene via il cromosoma X difettoso, così come il cromosoma Y. In questo caso, non sarebbe un problema. Nei trapianti d’organo o nelle trasfusioni di sangue non è prevista la distinzione sulla base del genere e, come capita nelle cellule femminili, quando ci sono due cromosomi X, uno dei due si inattiva, tipicamente in maniera selettivamente sbilanciata verso quello malato. Inoltre, il cromosoma X non contiene geni del sistema HLA, ovvero quei geni valutati nella compatibilità tra individui per evitare crisi di rigetto.

La tecnica può funzionare anche per altri cromosomi e, una volta messa a punto, diventerà la base con cui fare terapia cellulare per correggere le grandi aberrazioni cromosomiche. È interessante notare che, sempre più spesso, si utilizzino parole del dizionario chirurgico quando si parla di DNA: che implicazioni avranno in futuro queste metafore?


Questo articolo fa parte della rubrica I figli di Dolly

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