Prodigi, pericoli. Aspettative, delusioni. Sogni, incubi.
La fantascienza ci ha abituato con il suo immaginario a molto di ciò che l’intelligenza artificiale può essere. Se questo è un blog di domande, il tema di questa rubrica pone molti interrogativi che rimangono sospesi sopra a risposte che non possiamo ancora darci. Spesso, alle storie di fantasia è dato il compito di anticipare alcuni quesiti sul futuro dell’uomo, ma il tema dell’IA è anche un riflesso dentro cui è possibile osservare quanto di più intimo risieda nell’animo umano.
Theodore: “Samantha ma con quante persone parli mentre parli con me?”.
Samantha: “8316”
Theodore: “E di quanti di questi ti sei innamorata?”
Samantha: “641. Ma questo non danneggia l’amore che provo per te”
Nella storia d’amore di Spike Jonze, Her, Theodore (Joaquin Phoenix) cade vittima di un’illusione nei confronti di Samantha (Scarlett Johansson), non tanto nell’atto di confondere una macchina con un essere umano, ma piuttosto nel considerarla “singolare” quando in realtà la natura dell’IA è “molteplice”. La digitalizzazione ha cambiato il nostro comportamento e la comunicazione diventa strumento che prima ci unisce e dopo ci separa. Comprendere quanto sia facile fraintendere una macchina intelligente, di altra natura rispetto a noi, ci prepara alla possibilità di essere diversi anche rispetto ai nostri simili. Se non possiamo rispondere al quesito ontologico su dove risieda la coscienza di Samantha quando non è con Theodore, scopriamo di essere altrettanto ciechi nei confronti di tutto ciò che non è noi, anche rispetto alle persone che amiamo.
HAL 9000: Mi spiace Dave. Purtroppo non posso farlo.
E quando la comunicazione fallisce, rimane il silenzio che non è più la dimensione analogica di un’emozione, ma la trappola digitale dentro cui ci chiudiamo per separarci da coloro che sono diventati antagonisti del nostro essere.
In 2001: Odissea nello spazio, il supercomputer della nave spaziale Discovery non ha bisogno di un corpo per mostrare la sua ostilità. Ai nostri occhi è una semplice (non così semplice) luce rossa a spaventarci, anche quando all’inizio era la manifestazione di un assistente alleato e amichevole.
Questo ci fa capire, con un certo anticipo, sotto quali sfumature si animeranno le relazioni umane nel grande quadro dell’era digitale. E non abbiamo parlato di robot, per non rendere questo articolo una lunga accozzaglia di robacce. Confinare un’IA in un corpo significa limitarla nello spazio fisico, ma con tutti i vantaggi che robotica e automazione si portano dietro. Noi, ci limitiamo a citare Io, Robot di Isaac Asimov.
“Siete la psicologa della U.S. Robots, vero?”
“Non psicologa, ma robopsicologa.”
“Oh, perchè, i robot sono così diversi dagli uomini, dal punto di vista mentale?”
“Diversissimi – la Calvin si concesse un sorriso gelido – i robot sono fondamentalmente onesti”
E l’onestà, a volte, è anche scorciatoia, perché le esperienze umane soffrono di recidività. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Le macchine, quando programmate attraverso il machine learning, non possono perseverare, perché escluderanno sempre l’errore nel compito di raggiungere il risultato con la miglior efficienza possibile. Questo genera un cambio di prospettiva notevole… si tratta forse di una scorciatoia vincente per il miglioramento dell’uomo?
La risposta ammette e non concede che l’uomo non sia, in un prossimo futuro, sterminato dalle macchine.