I figli di Dolly

È il 14 febbraio 2003 quando i ricercatori decidono di porre fine alle sofferenze di una pecora, eutanasizzandola. C’era una storia clinica di artrite, tosse persistente, evidenza radiologica di tumori a livello polmonare. Un invecchiamento precoce, forse dovuto alla cortezza dei telomeri, un’anomalia genetica per una pecora di quell’età. In soli sei anni di vita, però, l’animale ha dato vita a un agnellino di nome Bonnie, poi a una coppia di gemelle, chiamate Sally e Rosie, infine a un’ultima tripletta costituita da Lucy, Darcy e Cotton.

L’eredità di Dolly non si ferma ai cuccioli che ha generato, perché lei è il primo mammifero a essere nato attraverso la clonazione di una cellula somatica adulta. Replicando gli esperimenti fatti sulle rane da John Gurdon (che nel 2010 vincerà il premio nobel assieme a Shinji Yamanaka), i creatori di Dolly recuperano il nucleo di una cellula di una ghiandola mammaria ovina e lo inseriscono in un oocita a cui è stato rimosso il DNA. Si tratta di una manipolazione genetica piuttosto grossolana perché di fatto si trasferisce un intero corredo genetico da una cellula all’altra, ma segna un punto importante per la ricerca scientifica: una cellula adulta può generare vita. Il già nominato Yamanaka scopre nel 2006 un metodo più semplice e più efficace per fare lo stesso procedimento: attivare alcuni geni che nelle cellule adulte sono spenti, invertendo la rotazione delle lancette dell’orologio e inducendo la cellula alla pluripotenza.

Giocando con il DNA si può invertire l’orologio biologico di una cellula, rendere un topo suscettibile a una malattia umana, creare un pomodoro che sopravvive più a lungo sugli scaffali e potenziare l’uomo correggendo i suoi numerosi difetti.

Perché clonare un individuo? I motivi sono molti (e vi assicuro, nobili – anche se alla scienza non si dovrebbero attribuire aggettivi morali), ma in particolare per dimostrare una semplice cosa: la possibilità dell’uomo di intervenire sulla vita, più precisamente sul codice che la genera – il DNA. L’ingegneria genetica apre porte altrimenti sbarrate dalla “natura”, ci permette di essere di più di quello che siamo. Non è solamente una lotta alle malattie dell’uomo, come nel caso della medicina rigenerativa.

E non è sbagliato parlare di “gioco” da quando Jennifer Doudna, nel 2012, ha preso in prestito un sistema di difesa antivirale dei batteri, denominato CRISPR-Cas9, per creare uno strumento di ingegneria genetica pressoché perfetto. “I figli di Dolly” è una rubrica che getta uno sguardo sull’orizzonte che si staglia di fronte alle scoperte dei personaggi che abbiamo citato.

Quanto è lecito l’intervento umano sulla natura delle cose? Oggi, l’opinione pubblica si è trovata a discutere sulla legittimità degli OGM (organismi geneticamente modificati), ma presto ci faremo domande differenti. Si può ingegnerizzare un bambino? Per curare una malattia, forse. Per renderlo immune dall’HIV, invece? E poi ancora, proteggerlo dall’obesità o dalla caduta di capelli? Ogni domanda ci fa sentire sempre più al buio e non sappiamo quanto possa essere estesa l’oscurità.

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