Intelligenza artificiale su tela

Rinuncio, fin da subito, al tentativo di dire che cosa sia l’arte, anche se fornire una definizione sarebbe terribilmente utile a introdurre l’argomento. Perché ogni volta che parliamo di intelligenze artificiali il problema è sempre lo stesso: il quesito sottostante al quesito. Può un’IA avere una coscienza? (ma che cos’è la coscienza?) può un’IA imitare l’intelligenza umana? (ma che cos’è l’intelligenza?) – e infine, può un’IA creare arte? (ma cos’è l’arte?)

L’arte è sia il mestiere che l’opera dell’artista, quindi è bene ricordare che nell’incertezza di dare una definizione esiste la certezza che il significato di arte è sufficientemente ampio da includere sia l’azione che il risultato. Le macchine necessitano solo di una manciata di dati per poter generare immagini, ma i risultati possono apparire banali perché l’imitazione è qualcosa di lontano dalla creatività. Negli occhi di chi guarda, però, c’è una parte importante del risultato e nell’ottobre del 2018 si è registrata la prima vendita di un’opera generata con algoritmi di intelligenza artificiale, intitolata Edmond de Belamy, battuta per la cifra 423’500 dollari. Dietro all’esperimento, c’è il collettivo francese Obvious, uno dei tanti gruppi nati con l’intento di esplorare il rapporto tra IA e arte.

Un altro esempio è il progetto “The Next Rembrandt” che, dopo oltre quattro secoli dalla morte di Rembrandt van Rijn, ha tentato di riportare in vita l’artista esponendo ad Amsterdam un nuovo dipinto inedito. Il quadro è stato creato con una stampante 3D grazie ad algoritmi che hanno saputo distillare il DNA artistico del pittore, digerendo 150 gigabyte di immagini digitali di 346 dipinti per oltre 18 mesi di analisi. Secondo Bas Korsten, direttore artistico del progetto, il dipinto non inganna l’occhio esperto fingendosi un autentico, ma è bastevole per far immergere i fruitori nell’esperienza aptica di un Rembrandt mai dipinto, eppure esistente.

Bas Korsten, direttore artistico della J. Walter Thompson Amsterdam agency,
di fianco al “Nuovo Rembrandt”

Per quanto sia funzionale il risultato, le macchine si limitano a seguire algoritmi e tuttalpiù imparano attraverso il machine learning a essere sempre più esatte ed efficienti. Tuttavia, l’arte non è necessariamente qualcosa di esatto, né tantomeno il risultato di una formula, ma interpretazione ed espressione di fenomeni complessi non riducibili, come la coscienza e l’esperienza. Secondo Ahmed Elgammal, direttore dell’Art and Artificial Intelligence Laboratory alla Rutgers University, una macchina potrà essere definita davvero intelligente solo quando sarà in grado di generare prodotti culturali come le arti visive, la musica o la letteratura. Elgammal suggerisce che la creatività emerga nel momento in cui un’opera si discosta dal passato, attraverso l’originalità, e influenza successive opere nel futuro, attraverso l’ispirazione. Secondo quest’idea, il suo gruppo ha sviluppato AICAN, un’intelligenza artificiale in grado di produrre arte (o per lo meno tentare) secondo un principio di forze contrapposte, in cui una spinge verso l’adattamento ai canoni estetici, l’altra per frantumare gli schemi. Sfruttando un metodo di apprendimento automatico che deriva dalle reti generative avversarie (GAN), l’IA insegue l’ambiguità stilistica per generare immagini la cui creatività può essere messa alla prova attraverso un classico test di turing: AICAN può essere confuso per un pittore umano? Apparentemente sì, dato che un pubblico messo alla prova non ha saputo identificare le immagini generate dall’IA, quando mescolate con opere reali appartenenti all’edizione 2016 di Art Basel, una fiera artistica contemporanea. Più precisamente, le opere di AICAN sono state giudicate il 75% delle volte come realizzate da un umano, contro l’85% osservato con i pittori autentici.

Esempi di realizzazione creative di AICAN

Il test di turing però dimostra che un computer può ingannare l’uomo, ma l’inganno non è una vera misura della creatività, quanto piuttosto della tecnica e della capacità imitativa. Inoltre la creatività non è necessariamente artistica. La domanda rimane dunque aperta, ma la relazione tra IA e arte suggerisce una questione altrettanto importante rispetto al quesito di partenza, ovvero quella della coesistenza.

Ho scoperto la fotografia. Posso uccidermi. Non ho più nulla da imparare.

Pablo Picasso

Con l’avvento della fotografia, in un primo momento, la società ha temuto che fosse giunta la morte della pittura. Le due arti, in realtà, hanno imparato a coesistere, i fotografi non hanno soppiantato i pittori e, anzi, la maturità di una ha giovato all’altra in un circolo virtuoso evolutivo. L’arte, dopotutto, ha sempre abbracciato la tecnologia, a volte anticipandola, accompagnandola e spiegandola. La tecnofobia, però, riemerge nel presente nella blasonata paura che l’uomo possa essere sostituito dalle macchine e che, alla lunga, attraverso l’apprendimento automatico, la tecnica di un’intelligenza artificiale possa superare di gran lunga quella degli artisti umani.

C’è da sottolineare che le IA non sono solamente altro come i cervelli positronici di Asimov, ma anche strumento, protesi – secondo una prospettiva transumanistica, potremmo spingerci fino a dire noi stessi. Potrà il pittore con pennello e colori a olio reggere il confronto con un artista dotato di chip neuralink che dipinge con la mente? L’immediatezza della pennellata mentale susciterà emozioni diverse dal laboratorio materico dell’arte tradizionale, ma la lotta tra analogico e digitale non genererà sopravvissuti quanto semmai nuove forme d’arte coesistenti.

Conferenza stampa Microsoft Xiaoice tenutasi a Pechino

Facendo un passo fuori dalla pittura, è interessante lo sperimentalismo letterario cinese. Chen Quifan, scrittore di fantascienza, è uno dei principali promotori del progetto “Co-creation”, un tentativo di giocare con le IA nell’arte della scrittura. Un’intelligenza artificiale aiuta lui e altri scrittori nella composizione di storie riguardo la protezione ambientale, il concetto gender, il rapporto tra uomo e macchina, eccetera, alternando le frasi scritte dagli umani con frasi generate. L’algoritmo è stato addestrato assorbendo testi da internet, raffinato con storie sci-fi, infine calibrato per cogliere le relazioni tra i personaggi già inseriti nella storia. Secondo Chen, si aprono infinite possibilità, ma qualche suo collega coinvolto nel progetto teme che l’IA possa risultare più talentuosa degli scrittori stessi nella stesura di nuovi romanzi. Idea che forse non dispiace alla Cina, la quale intende diventare il paese più avanzato nella ricerca sulle IA entro il 2030.

Xiaoice, chatbot di Microsoft popolare in Cina, ha composto più di 10’000 poemi in 2’760 ore, ognuno ispirato a un’immagine differente, dopo aver studiato 519 poeti dal 1920 in avanti. Dopo aver pubblicato queste composizioni in diversi forum sotto 27 alias spesso non riconosciuti come robot, 139 poesie sono state selezionate (da umani, che strano doverlo specificare) e pubblicate in una raccolta intitolata “Sunshine Misses Windows”. Qua sotto, un esempio.

Attraverso l’offuscamento delle lacrime, niente è chiaro
La mia vita è arte;
Nuvole alla deriva al crepuscolo nel cielo d’Occidente,
Con i miei palmi spezzati prego.

Yu Jian, poeta, critico letterario e regista cinese, si definisce disgustato dal tono sciatto dell’IA e giudica le sue frasi “senza scopo e superficiali, prive della logica interna per l’espressione emotiva”. Il rigetto è comprensibile e qui la paura non sta nel timore del talento quanto della banalizzazione. Nella ricerca dello spirito delle cose – di ciò che spinge gli uomini a tirar fuori il meglio (e a volte il peggio) dal proprio io, strizzando il filtro in cui intrappola il mondo esterno e l’impero interiore – torniamo a farci una domanda: può l’IA produrre arte?

Bisogna prevedere il futuro senza barricarsi dietro a frasi come “non accadrà mai”, domandandoci con gelosia cosa ci renda umani, ma col cuore aperto verso ogni forma di bellezza.

Se mai ciò dovesse avverarsi, il nostro mondo sarà già probabilmente molto diverso e sufficientemente immerso nell’intelligenza artificiale tale da soffocare il nostro stupore. Stupore che oggi è un privilegio, se siamo ancora coscienti di cosa sia il gusto e cosa sia la scoperta. Secondo Barbara Caputo, docente al Politecnico di Torino, dove dirige l’AI Hub ELLIS@PoliTo, le IA possono ambire a essere artisti discreti, mai eccezionali. Il reale pericolo sta nel fatto che un’arte dominata dalle macchine possa farci il lavaggio del cervello, cercando il nostro coinvolgimento con risultati previsti e mai rischiosi, banalizzandoci a tal punto da “renderci incapaci di apprezzare la bellezza dell’inaspettato”.

La domanda “può un’IA generare arte?” è ben diversa dalla domanda “può l’IA essere cosciente?” perché è un’opinione universalmente accettata che la coscienza sia data in dono a ognuno di noi. L’arte, tuttavia, è quella di pochi e coloro che eccellono sono una speciale minoranza, a volte condannati a essere ignorati per anni o secoli, ma infine riscoperti grazie alle nuove consapevolezze delle generazioni successive. L’arte non si nasconde dietro a una linea di codice, ma forse dietro a un programmatore si nasconde un artista. Bisogna prevedere il futuro senza barricarsi dietro a frasi come “non accadrà mai”, domandandoci con gelosia cosa ci renda umani, ma col cuore aperto verso ogni forma di bellezza.

Ringrazio Matilde P. per la prolifica discussione che ha consentito a questo articolo di essere tale.


Questo articolo fa parte della rubrica 404 Human Not Found

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